SEDEVACANTISMO

 

Da

IL NUOVO OSSERVATORE CATTOLICO

ANNO 1994 N. 6

 

LA QUESTIONE DELL'AUTORITÀ

 

Un sacerdote romano ha scritto, servendosi anche d’altri studi, il presente articolo affinché si continuasse a rendere testimonianza alla verità a far luce tra i fedeli che subiscono senza possibilità d’appello l’ingiustizia dell'errore divulgato senza ritegno da chi occupa illegittimamente posti di governo nella Chiesa.

 

Ci troviamo oggi in una situazione senza precedenti nella storia della Chiesa. Uno degli aspetti nuovi e più importanti di questa crisi è che chi occupa il posto della suprema Autorità, e quindi dovrebbe essere il custode che trasmette il deposito della fede, agisce in senso diametralmente opposto al suo mandato, cioè demoli­sce sistematicamente la domina cattolica e si fa aposto­lo di una nuova religione. Com'è possibile questo? Com'è possibile che per conservare la fede si sia obbligati a non seguire gli insegnamenti del magistero conciliare e postconciliare? Com'è possibile che si sia obbligati a non osservare le leggi, sia disciplinari sia liturgiche? Com'è possibile, dunque, che, per rimaner fedeli alla dottrina ed al diritto della Chiesa di sempre, si sia obbligati a non sottomettersi ai pastori della chiesa postconciliare e, di fatto, ad usci­re da essa? Poiché se qualcuno crede ed agisce conformemente al le nuove regole, inevitabilmen­te "si allontana in maniera im­pressionante" dalla fede di sem­pre. Questo stato dï cose ha avu­to inizio dal "Vaticano II", i cui decreti apparivano già palesemente in contraddizione con la dottrina cattolica, particolarmen­te la "Gaudium et Spes", " la "Nostra aetate" e la dichiara­zione "Dignitatis humanae personae " sulla libertà religio­sa. Tutti i documenti successivi sono stati informati dallo stesso spirito. Non sarà possibile af­frontare in quest’articolo tutta la documentazione conciliare e tutti gli atti di Paolo VI c di Giovanni Paolo II, per la limitatezza dello spazio; sarà sufficiente, però, citare qualche dichiarazione ed alcuni fatti più significativi in cui risulta evidente il contrasto con la dottrina e la pratica tradizionale della Chiesa.

Karol Wojtyla, già da cardinale, predicando un ritiro spirituale nel 1976 a Paolo VI in Vaticano, vaticinava il "nuovo avvento dell'umanità", or-mai in matura per capire che "Cristo è al centro del cosmo". Perla sua "Redenzione universale", "Cristo con la sua nascita si è unito a tutti gli uomini, ad ogni uomo"; all'umanità.

Il 7/11/1980 Giovanni Paolo II, durante un viaggio in Germania, si recò in un tempio luterano e dichiarò: "Vengo a voi verso l'eredità spirituale di Lutero", ed esaltò la profonda spiritualità di quell'eresiarca.

Il 25/5/1982, in Inghilterra, partecipò al culto angli­cano nella cattedrale di Canterbury, ed insieme con l'ar­civescovo anglicano benedisse la folla.

L’ 11/12/1983 predicò nel tempio luterano di Roma. Affermò che si dovrà "rifare il processo a Lutero in modo più oggettivo", dando ad intendere che la sentenza di Papa Leone X su questioni di fede fosse ingiusta e riformabile.

Dal 1984 riceve regolarmente esponenti della potente massoneria ebraica del B'nai B'rith, con cui ha instaurato rap­porti di collaborazione. Il 10/5/84, in Thailandia, vi­sitò ufficialmente (come "vica­rio" di Gesù Cristo) uno dei capi del buddismo e si inchinò da­vanti al suo trono, posto alla base di un simulacro di Buddha. L' 11/6/1984, a Roma, inviò un rappresentante per la collo­cazione della prima pietra di quella che sarà la più grande moschea d'Europa, costruita nel cuore della Cristianità. L'8/8/1985, in Togo, parte­cipò in una "foresta sacra" a cerimonie pagane e pochi gior­ni dopo partecipò a riti satanici ("tutti gli dei pagani sono demoni", Salmo 95) a Kara e Togoville.

Il 2/2/1986, in India, ricevette in fronte da una sacerdotessa di Shiva (dio della morte e della distruzio­ne) il segno del "tilak", proprio dagli adoratori di Shiva. E il 5/2, in occasione del medesimo viaggio, a Madras, le ceneri iniziatiche di sterco di "vacca sacra".

Il 13/4/1986, a Roma, visitò ufficialmente la Sina­goga dove recitò i salmi con il grande Rabbino ed altri ebrei che ripetevano parole d’accusa contro la Chiesa.

Nel 1993, in Benin, incontrò i grandi sacerdoti della setta satanica Vudù e pronunciò un breve discorso di lode in cui tra l'altro disse: " (...) rispetto per i veri valori, dovunque essi siano, rispetto soprattutto per l' uomo che cerca di vivere di questi valori... Siete fortemente attaccati alle tradizioni che vi hanno tra­mandato i vostri antenati. E' legittimo essere ricono­scenti verso i più anziani che vi hanno trasmesso il senso del sacro, la fede in un Dio unico e buono, il gusto della celebrazione...”. (da notare che i Vudù ado­rano il dio pitone).

Giovanni Paolo II ha inoltre proferito alcune propo­sizioni fondamentalmente eretiche (qui ne citeremo solo alcune):

"Ci si può dire pieni di una particolare speranza della salvezza per coloro che non appartengono all' or­ganismo visibile della Chiesa". (Disc. del 21/5/1980).

In quanto questa formula riduce ad una nozione vana la necessità di appartenere alla Chiesa per giunge­re alla salvezza eterna: eretica (vedi Enciclica Humani generis di Papa Pio XII).

"I cristiani delle diverse confessioni sono uniti nello Spirito Santo dai legami di una comunione in­completa"; (Disc. del 24/2/1981).

In quanto essa attribuisce a tutti i cristiani separati dalla Chiesa cattolica ciò che si può riferire solo a coloro, conosciuti d'altro canto esclusivamente da Dio, che hanno almeno la virtù di fede soprannaturale e sono uniti da un voto implicito alla Chiesa cattolica: eretica.

"La fermezza della credenza dei membri delle reli­gioni non cristiane è a volte un effetto dello Spirito di verità operante al di là delle frontiere visibili del Corpo Mistico". (Enciclica. Redemptor hominis del 4/3/1979)

In quanto essa attribuisce allo Spirito Santo la credenza all'insieme della dottrina professata dai mem­bri delle religioni non cristiane: eretica.

"Lo Spirito Santo è anche misteriosamente presen­te nelle religioni e nelle culture non cristiane (...) Dello Spirito Santo si potrebbe dire che: ciascuno ne possiede una parte e tutti lo possiedono interamente, tanto la sua generosità è inestinguibile"; (Disc. del 26/3/1982). In quanto attribuisce a tutti gli uomini, anche a quelli che non hanno la fede soprannaturale, di avere una "parte dello Spirito Santo": eretica.

"I mussulmani sono i nostri fratelli nella fede nell’unico Dio"; (Disc. ai mussulmani, Parigi 31/5/1980). In quanto essa insinua che i mussulmani, per il fatto della loro credenza all'unicità di Dio, possiedono la fede soprannaturale: eretica.

"Le comunità dei cristiani non cattolici hanno in comune con la Chiesa cattolica una comune fede apostolica in Gesù Cristo Salvatore"; (Disc. ai rappresentati delle altre religioni, Nairobi 7/5/1980).

In quanto essa attribuisce a tutti i cristiani non cattolici la virtù della fede soprannaturale: eretica. "E' necessario lottare per questa dignità che ogni uomo accende e può accendere continuamente nel Cristo e che è la dignità della grazia dell'adozione divina e allo stesso tempo la dignità della verità inte­riore dell'umanità"; (Enciclica Redemptor hominis - 11,4)

In quanto insinua che ogni uomo ha la dignità della grazia dell'adozione divina: eretica.

"Le parole dell'Epistola agli Efesini (Ef. I, 4,5 - 7,18) ci parlano dell'elevazione soprannaturale di ciascun uomo in Gesù Cristo: della dignità dei figli adottivi di Dio, di cui noi siamo gratificati in Lui"; (Angelus dell' 11/7/1982).

Stessa nota teologica della precedente.

"Ogni uomo è in questo corpo (il Corpo Mistico di Cristo che è il popolo di Dio) penetrato dal soffio della vita...che viene da Cristo".(Enciclica Redemptor hominis).

In quanto insinua che ogni uomo è membro del Corpo Mistico: eretica.

"Il Concilio, invece, apri solo la strada all'unità. L'apri impegnando in essa prima di tutto la Chiesa cattolica; ma il cammino,stesso è un processo, che deve gradualmente farsi strada attraverso gli ostacoli, di natura sia dottrinale sia culturale e sociale, che sono venuti accumulandosi nel corso dei secoli. Bisogna quindi, per cosi dire, sbarazzarsi degli stereotipi, delle abitudini. E occorre, soprattutto, scoprire l'unità che di fatto già esiste." (Varcare le soglie della speranza. pag. 162) Quali sono questi "ostacoli, stereotipi, abi­tudini" se non quelli propri ad ogni "religione" e che quindi le differenziano e le dividono?

In quanto essa attribuisce a tutti i cristiani, anche non cattolici, l' appartenenza di fatto all'unica Chiesa di Cristo: eretica. In quanta considera i dogmi della Chiesa ostacoli "all'unità": eretica.

II 27/10/1986, ad Assisi, promuove c presiede una preghiera delle "religioni" per la pace; cerimonia più volte reiterata fino ad arrivare, ultimamente, il giovedì 3 novembre 1994, ad un incontro interreligioso, questa volta però tenuto in Vaticano, nel luogo stesso in cui l'Apostolo Pietro ha versato il suo sangue proprio per estirpare le false credenze e per l'instaurazione della Santa Religione Cattolica. Oggi, al contrario, cerca di distruggere la vera Religione fondata da Nostro Signo­re e di legittimare il culto degli "dei falsi e bugiardi".

Domenica 13 novembre 1994 si è raggiunto il colmo con la "lettera apostolica" "Tertio millennio adveniente" in cui si chiede, tra l'altro, alla Santa Chiesa Cattolica di fare autocritica per il suo passato. Si è arrivati all'assurdo: non soltanto si dice il contrario della dottrina cattolica, ma si attacca direttamente la Chiesa così com'è stata voluta da Nostro Signore.

Questi ed altri, sono fatti e parole eretiche e l'eresia si manifesta e dai fatti e dalle parole (sive verbo sive facto) come dicono i teologi (Merkerlbach, per esem­pio), i quali identificano l'eresia formale da tre segni principali: 1) chi dubita con pertinacia o con disprezzo della Chiesa, ed evita di cercare ulteriormente la verità; 2) chi non accetta la verità sufficientemente, proposta, per seguire la sua opinione o la sua setta; 3) chi, conosciuta la verità, persevera nel contraddire la Chie­sa come sogliono fare gli eresiarchi.

Non è neanche pensabile che Giovanni Paolo II e prima di lui Paolo VI non fossero a conoscenza della dottrina cattolica, essendo in possesso di lauree in teologia ed essendo, inoltre, stati avvertiti da più perso­ne, tra gli altri i Cardinali Ottaviani e Bacaci, Mons. M. Lefebvre e Mons. A. De Castro Mayer. Bisogna anche tener conto del tipico modo di agire dei modernisti, che affermano delle verità negandole o svuotandole poi del loro significato. Nel libro "Varcare..." sopraccitato di Giovanni Paolo II, ad esempio, in alcuni passaggi afferma si l'unità della Chiesa ma poi prosegue: "non si deve comprendere ciò fermandosi esclusivamente all’aspetto visibile della Chiesa" pag. 154... "la Chiesa, come Corpo mistico di Cristo, pervade tutti noi e tutti comprende" pag. 156, fino ad arrivare "all'unità che di fatto già esiste" sopra citata. Quest'alternanza di pagi­ne cattoliche e non cattoliche, per dirla con S. Pio X, dimostra, tra l'altro, la sua conoscenza della dottrina cattolica. Di fronte a tutto ciò un cattolico rimane sconcertato e un dilemma lacerante travaglia la sua coscienza: seguire quanto è stato sancito dal nuovo corso della Chiesa o resistere?

Si è concretizzata cosi la resistenza cattolica alle innovazioni conciliari, ma questa resistenza invece di manifestarsi con una soluzione univoca si è espressa in molteplici forme.

1) C'è chi accetta il nuovo insegnamento sostenendo che ci si deve solo opporre agli abusi del clero progressista ma che, in realtà, non esiste una dicotomia, una rottura, con la Tradizione; si tratterebbe, quindi, solo di un'opposizione apparente che non implica per nulla il problema dell’autorità.

2) Altri, invece, constatano che esiste una sicura contraddizione; cercano, quindi, di porsi il problema dell'autorità e concludono, considerando il papa infal­libile esclusivamente quando parla "ex cathedra", che tutto quanto è stato emanato dal "Vaticano II" sarebbe solo una specie di sottomagistero fallibile dal quale si potrebbe tranquillamente derogare, menta l'autorità conserverebbe tutte le sue prerogative.

3) Altri ancora vanno oltre, asserendo che gli atti conciliari sono in antitesi con la domina cattolica e che, essendo questi documenti coperti da infallibilità, evidenziano la perdita dell'autorità da parte dei loro promulgatori e, quindi, primariamente dell’occupante il Soglio Pontificio, che tuttavia rimarrebbe ancora materialmente il Successore di Pietro.

4) Infine, c'è chi sostiene che gli atti promulgati dall'autorità romana, dimostrando un conflitto insana­bile tra la loro dottrina e i dogmi della fede cattolica, provanô che coloro che hanno emanato tali atti sono decaduti dal loro incarico per eresia pubblica manifesta e pertinace, o non sono mai stati eletti validamente. La Sede Apostolica deve considerarsi quindi vacante.

I fedeli rimangono turbati da tante diversità di opinioni teologiche.

Vogliamo ora affrontare il problema senza remore che possano inficiare il nostro ragionamento.

La Chiesa è essenzialmente tradizionale, cioè basa­ta sul "Depositum fidei" trasmesso dagli Apostoli fino ad oggi. Bisogna, quindi, sempre tenere conto di quel che la Chiesa ha detto o fatto lungo i secoli. Quando oggi ci si trova di fronte ad una questione dottrinale, bisogna esaminare come la Chiesa ha reagi­to in casi simili. Questa è una regola d'oro che, se dimenticata, rischia di generare una fantateologia.

Nel caso del papa, ci troviamo dinanzi ad una situazione nuova, come abbiamo già detto; ciò nondi­meno ci sono stati casi relativamente simili, come quelli di Papa Liberio, Onorio, Pasquale II, Giovanni XXII. Per questo molti teologi hanno affrontato ipoteticamente la questione del Papa eretico o scismatico, dico ipoteticamente perché nessun papa fino ad oggi non è mai caduto esplicitamene nell'eresia.

Ascoltiamone dunque qualcuno:

Scrive l'Uguaccione: "Quando il papa cade nell’eresia, può essere giudicato dai sudditi, infatti quan­do il papa cade in eresia si rende non maggiore, ma inferiore a qualsiasi cattolico".

Giovanni il Teutonico, grande decretalista, si pone il quesito se sia lecito accusare "il papa" in caso cada in eresia, visto che le Decretali pontificie ed i Concili fanno proibizione di giudicare la Prima Sede. II canonista dà risposta affermativa alla domanda, perché altrimenti ",si pregiudicherebbe il bene di tutta Chiesa, il che non è lecito" ; inoltre "a causa dell' eresia il papa cessereb­be di essere Capo della Chiesa purché il crimine sia notorio per ‘confessionem vel pro facti evidentia’ " - (per esplicita affermazione o per l'evidenza del fatto, come, ad esempio, inchinarsi davanti ad un idolo).

Il Card. Giovanni di Torquemada (non l'inquisitore) commentando il "Corpus iuris canonici" IIe Distinzione 21 "prima sedes" e Distinzione 40 "si papa" , afferma: "Rispondo dicendo su questa conclusione che il papa non ha giudice superiore sulla terra, eccetto per il caso di eresia". Proseguano la glossa afferma ancora: "De­viante dalla fede, significa, quando dalla fede fuoriesce pertinacemente e dalla pietra della fede cade, sopra la pietra sui cui è stata fondata cfr. Matt. XVI, [Il papa] diventa minore ed inferiore a qualsiasi fedele e quindi può essere giudicato dalla Chiesa, o piuttosto essere dichiarato già condannato, secondo quanto sta scritto che chi non crede è già stato giudicato, e non può il papa stabilire una legge, che non lo-si possa accusare di eresia, poiché cosi verrebbe messa a repentaglio tutta la Chiesa e verrebbe confuso il generale stato della medesima."

Nessuno più dei Romani Pontefici ha affermato che l'eresia li avrebbe resi giudicabili dalla Chiesa. Innocenzo III ci rende testimonianza di ciò, nel Medio Evo, momento in cui il Papato giungeva all'apogeo della sua potenza, e si mostrava meno disposto che mai a mettere in dubbio la sua indipendenza. Il papa predi­cava per consuetudine il giorno dell'anniversario della sua incoronazione e consacrazione. In tale circostanza Innocenzo III, in tre anni diversi, volle esprimere il suo pensiero sul Romano Pontefice che si lasciasse corrompere dall'eresia.

Il Papa dichiarô espressamente, in questi tre sermo­ni, che nel caso in cui lui stesso fosse caduto in eresia, si sarebbe reso colpevole di un crimine contro la fede, che è a lui (come Papa) assolutamente necessaria, e ciò lo avrebbe portato ad essere giudicato da parte degli uomini di fronte alla Chiesa. Anzi, non giudicabile, ma piuttosto già giudicato, in quanto "chi non crede - secondo San Giovanni - è già stato giudicato".

Queste sentenze medievali sono raccolte da San Roberto Bellarmino nel "De Romano Pontifice" che, a usto proposito, afferma che il papa non può cadere in eresia, lasciando, quindi, intendere che, nel caso si riscontrassero degli errori dottrinali, bisognerebbe dedurre che non è mai stato eletto validamente; elencando poi le altre opinioni, afferma pero che nel caso dovesse cadere in eresia cesserebbe di essere papa poiché "chi è fuori dalla Chiesa non può esserne il Capo".

Nel 1969 il card. Charles Journet ha scritto un articolo sulla possibile eresia del "papa", e dichiara: "I teologi medievali dicevano che il Concilio non dovrebbe nemmeno deporlo, ma soltanto constatare il fatto dell' eresia e significare alla Chiesa che colui che era stato papa è decaduto dalla sua funzione primaziale. Chi gliel' ha levata? Nessuno al di fuori di lui stesso. Come egli può abdicare con un atto di volontà, cosi può decretare volontariamente, da se stesso, la sua deca­denza, con un atto di eresia.

Il motivo è che rinnegando la fede, colui che era papa ha cessato di far parte della Chiesa, di essere suo membro. Dal momento che il fatto è dichiarato pubbli­camente, egli non potrebbe dunque, continuare ad esserne la testa. In un caso simile, un eventuale senten­za del Concilio è soltanto dichiarativa, e non proclama in nessun modo la supremazia del Concilio sul Papa".

Tale sentenza è riassunta mirabilmente dall’"'Enchiridion luris Canonici" (Pecs 1940), redat­to da Stefano Sipos, nel quale si evince che il papa può cessare dal suo incarico in diversi modi:

"1°) Per mortem,

2°) per resignationem, (rinuncia),

3°) per amentiam certam et perpetuam, (pazzia)

4°) per haeresim privatam notoriam et palam divulgatam". (per eresia privata, notoria e apertamente divulgata.)

Inoltre, lo stesso Enchiridion asserisce che sono ineleggibili al Sommo Pontificato in quanto non "ma­teria apta": "Le donne, i bambini, i pazzi, i non battezzati, gli eretici e gli scismatici".

A questo punto bisogna notare che non si tratta tanto di vedere se Giovanni Paolo II abbia o meno pronuncia­to eresie "ex Chathedra" ma se lui, personalmente, privatamente, sia eretico o meno.

Un documento di rilevante importanza teologica e giuridica ci è dato dalla Costituzione Apostolica "Cum ex Apostolatus officio", di Papa Paolo IV, la quale riveste tutti i caratteri propri di un atto infallibile. In esso, infatti, il Papa impegna la pienezza dei suoi poteri: "Con questa Nostra Costituzione, valida in perpetuo, in odio a cosi grande crimine (l'eresia), in rapporto al quale nessun altro può essere più grave e pernicioso nella Chiesa di Dio, nella pienezza della Apostolica potestà, stabiliamo, decretiamo e definia­mo" .

Questa Costituzione dichiara apertamente che: "Lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promo­zione a Cardinale o alla Sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato,sia nulla, non valida, e senza alcun valore, la promozione o elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l'unanime consenso di tutti i cardinali". Le stesse argomentazioni furono confermate da San Pio V con la Bolla "Inter multiplices".

In ogni caso, sia per eresia antecedente l'elevazione o per eresia susseguente, quel che risulta dalle sentenze dei teologi e dal Magistero è che esiste un'incompati­bilità assoluta tra giurisdizione papale ed eresia.

Inoltre, dopo quello che abbiamo visto, come po­trebbe Giovanni Paolo II essere papa?

Partendo da un principio della filosofia che suona così: "Agere sequitur esse" (L’agire segue l’essere), possiamo constatare che palesemente le azioni di que­sto "papa" non corrispondono a quel che dovrebbero. Se non agisce da "papa" vuol dire che non lo è.

In effetti, come potrebbe un papa ricevere in fronte il segno degli adoratori di Shiva? Parlare della loro " fede in un Dio unico e buono" agli adoratori del dio pitone? Come potrebbe presiedere riunioni come quel­la di Assisi ed altre simili? A questo proposito sentiamo cosa dice Pio XI nell'Enciclica "Mortalium animos" del 6 gennaio 1928: "Persuasi che rarissimamente si trovano uomini privi di ogni, sentimento religioso, sembrano trarne argomento a sperare che i popoli, per quanto dissenzienti gli uni dagli altri in materia di religione, pure siano per convenire senza difficoltà nella profes­sione di alcune dottrine, come su un fondamento comu­ne di vita spirituale. Perciò sogliono indire congressi, riunioni, conferenze, con largo intervento di persone, e invitarvi promiscuamente tutti a discutere, e infedeli di ogni graduazione, e cristiani, e persino coloro che miseramente apostatarono da Cristo o che con ostinata pertinacia negano la divinità della sua Persona e missione. Non possono certo ottenere l'approvazione dei cattolici tali tentativi, fondati come sono sulla falsa teoria che suppone buone e lodevoli tutte le religioni; perché tutte, quantunque in maniera diversa, tuttavia manifestano e significano egualmente quel sentimento a tutti congenito per il quale ci sentiamo portarti a Dio e all'ossequente riconoscimento del suo dominio. Or­bene i seguaci di siffatta teoria, non soltanto sono nell’inganno e nell'errore, ma ripudiano la vera reli­gione depravandone il concetto e piegano passo passo al naturalismo e all' ateismo; donde chiaramente con­segue che quanti aderiscono ai fautori di tali teorie e tentativi si allontanano del tutto (omnino) dalla reli­gïone rivelata da Dio". Più avanti continua cosi: "Non manca chi addirittura ha il pio desiderio di vedere a capo di questi congressi, diciamo cosi, variopinti, lo stesso Papa!" . Reputava il Papa evidentemente la qual cosa come assurda, impensabile, ed in effetti è incon­cepibile che un vero Papa possa partecipare a tali riunioni o addirittura esserne il promotore.

Ma in particolare come può) promulgare delle leggi che contengano errori? E' dottrina teologicamente certa che la Chiesa nel promulgare leggi universali, sia disciplinari che liturgiche, sia infallibile. Non può esserci nulla, in queste leggi, che sia contrario alla fede. (P. Salaverri, P. Cartechini, P. Zubizarreta, tra gli altri e indirettamente il Concilio di Costanza).

Inoltre, è dogma di fede che la Chiesa sia Santa. A questo proposito Pio XII, nell'enciclica "Mystici corporis", osserva: "Si, certamente, senza alcuna macchia risplende la pia Madre nei sacramenti, coi quali genera ed alimenta i figli, nella fede che conserva sempre incontaminata, nelle santissime leggi con le quali comanda,..."

Com'è possibile, dunque, che la Santa Chiesa possa darci dei sacramenti, una fede, delle leggi che non siano santi?

Ora è certo che, per esempio, il Nuovo Codice di Diritto Canonico, il Novus Ordo Missae, contengono errori. Se il papa non può promulgare leggi universali contrarie alla fede e alla santità della Chiesa, significa che la sua autorità, nel caso ciò avvenga, non è legittima; non c'è altra spiegazione.

Riassumendo, dunque, da una parte constatiamo dai discorsi e dai fatti, che Giovanni Paolo II è eretico pertinacemente. Dall'altra vediamo che compie delle azioni che un papa legittimo non potrebbe fare, perché garantito dall'infallibilità. Siccome, tra i quattro casi di nullità della suprema potestà l'unico applicabile alla realtà presente, è l'eresia, ne consegue necessariamente, non vediamo altra soluzione, che Karol Wojtyla non può non essere eretico. Ciò conferma ulteriormente, come una specie di prova del nove, l'assenza d’autori­tà, probabilmente fin dall'inizio, nella sua persona.

La più grande e seria obiezione che si possa fare a tutto ciò è che, in questo caso, la Chiesa non sarebbe più visibile o addirittura non esisterebbe più.

Prima di rispondere bisogna sottolineare che la visibilità della Chiesa, come dicono i teologi, si rileva principalmente da tre segni: professione della stessa fede, uso degli stessi sacramenti ed obbedienza ai medesimi pastori. Quindi la chiesa conciliare che ve­diamo, non può essere la vera Chiesa poiché, per restare cattolici, come abbiamo visto, non possiamo seguire la dottrina, usare dei sacramenti e ubbidire ai pastori.

Non possiamo dire che Giovanni Paolo II è papa c nello stesso tempo che è apostata o eretico e che di conseguenza non possiamo sottometterci; dove finisce in questo modo l’ossequio, l’obbedienza dovuta al Som­mo Pontefice, al" dolce Cristo in terra "(Santa Caterina)? Se non possiamo seguirlo è perché non è papa. Dov'è dunque la vera Chiesa?

Conveniamo che c'è una notevole difficoltà nel trovare una risposta, poiché vi è del misterioso in ciò che sta accadendo; ma si potrebbe sempre rispondere ipotizzando che la Chiesa è visibile in coloro che si oppongono all'eresia e che hanno ancora la fede o che stia subendo un’eclisse, come profetizzò la Santa Vergine a La Salette.

Sarebbero, tuttavia, maggiori le difficoltà se si accettasse l'ipotesi che Giovanni Paolo II sia il papa legittimo, come abbiamo dimostrato.

Per uscire da questa crisi, la Chiesa un giorno dovrà pur chiarire questo periodo oscuro. Dovrà ineluttabilmente constatare la nullità dei documenti del concilio, della riforma liturgica, del diritto canonico, del catechismo e di circa venti encicliche.

Dirà forse che lo Spirito Santo non ha assistito la sua Chiesa o che si sia sbagliata o che abbia perduto temporaneamente la sua santità? Bisogna riconoscere che sarebbe alquanto inverosimile.

O dovrà negare almeno la nota di santità e la proprietà d'infallibilità che sono essenziali alla Chiesa, il che non è possibile, o, non vediamo altra soluzione: constatare l'illegittimità di chi ha promulgato quei documenti.

 

Un paladino della Fede